martedì 25 settembre 2012

Medjugorje,messaggio del 25/09/2012

"Cari figli! Quando nella natura guardate la ricchezza dei colori che l’Altissimo vi dona, aprite il cuore e con gratitudine pregate per tutto il bene che avete e dite: sono creato per l’eternità e bramate le cose celesti perché Dio vi ama con immenso amore. Perciò vi ha dato anche me per dirvi: soltanto in Dio è la vostra pace e la vostra speranza, cari figli. Grazie per aver risposto alla mia chiamata.”

lunedì 24 settembre 2012

Ancora Camisasca



Ho scoperto da poco fratel Jury Camisasca e mi sembra evidente che mi ha conquistato con la sacralità di questo album sempre casualmento ho trovato l'intervista che segue e che pur essendo datata è assolutamente attuale.Vi lascio alle sue parole.

 


IL "TE DEUM" DI FRATEL JURI

Un disco straordinario inciso da un musicista che vive da nove anni in monastero

"Quando sono entrato qui", racconta Roberto Juri Camisasca, "ho detto basta, con la musica non voglio più avere a che fare. E per un po’ di anni non ho più toccato strumento. Ho sofferto, ma pensavo che la via fosse quella. Ma davvero, cancellare i doni di Dio non è la strada giusta". Il "qui" è il monastero; la "musica" è la musica; la "strada"… molto meglio che sia lo stesso Roberto a spiegarci quale sia. Qualcuno (non molti, forse, perché la fama è labile e gli anni, certi anni soprattutto, sono passati) si ricorderà di lui: la prima metà degli anni '70, certa musica d'avanguardia, Demetrio Stratos e gli Area, Franco Battiato, Claudio Rocchi, quello stesso Vincenzo Zitello che, adesso, ammirano tutti come arpista nel gruppo di Ivano Fossati. Tra loro, anche Juri ("fu Franco a chiamarmi così, perché Roberto Camisasca non si sposava bene con quella musica sperimentale. Gli amici mi chiamano tutti così. Entrando in monastero, poi, ho ripreso il mio nome di battesimo") Camisasca. I concerti, i dischi. E un disco anche adesso, uscito da poche settimane e intitolato Te Deum.

Mi hai detto che questo tuo disco è una testimonianza. In che senso e di che cosa?

"E' una testimonianza nel senso che è una lode a Dio. Se uno loda Dio, vuol dire che lo sente; e poiché nella nostra società Dio non è percepito o è considerato come qualcosa di astratto, ecco che diventa necessario dare una testimonianza del contrario. La più gran lode di Dio è, evidentemente, la vita di ognuno. Ci sono però delle forme di comunicazione che vanno al di là del gesto e della parola. Un pittore può raffigurare il tramonto ma non è il tramonto che gli interessa, bensì l'emozione che quel tramonto gli ha dato. Io penso che la musica abbia, a questo proposito, qualcosa in più delle altre arti, perché è comunicazione diretta, senza la mediazione della materia, è l'emozione stessa che si fa sentire con la vibrazione del suono. Con questo disco, insomma, ho voluto far sentire agli altri il mio rapporto con Dio"

Hai parlato di loda a Dio e di comunicazione: questo tuo disco è rivolto più a Lui o a noi ascoltatori?

"Naturalmente scattava anche la comunicazione orizzontale, perché il disco non lo facevo per me stesso ma per gli altri. Nei momenti in cui realizzavo il lavoro, però, ero in preghiera. Si tratta di trovare una zona, un angolo in sé stessi dal quale fare poi scaturire le cose. E' il discorso dell'ascesi: trovare la presenza di Dio in sé stessi. E per il cristiano è tutto qui, il regno di Dio non è una cosa che viene e che va, è in mezzo a noi, è in noi, devi solo scoprirlo. Diventa importante, dunque, quella che gli orientali definiscono "concentrazione" e che noi più spesso chiamiamo "raccoglimento": il disco l'ho cantato in questa condizione interiore".

Chiacchierando, prima, hai detto: non sono nato in parrocchia. Che cosa intendi?

"Vedi, la mia storia è lunga, e credo si debba andar piano a parlare di certe cose. In un certo periodo della mia vita, verso i 24-25 anni…"

Quanti anni hai?

"Ne ho 37. In quel periodo avevo le idee confuse. Facevo dischi, concerti, dopo il sessantotto c'era stata un'ondata musicale, ma non ero soddisfatto né di quel che ero né di come mi appariva la vita. Ho passato un periodo molto brutto, non avevo orizzonti. Poi c'è stato un intervento che mi ha fulminato, dall'oggi al domani ero un'altra persona. Ho preso ad essere sereno, la vita mi si presentava nel suo aspetto positivo. Non pensavo ancora a Dio. Ho cominciato a pensarci quando ho avuto certi segni: entravo in chiesa e mi sentivo bene. Nel caos di Milano le chiese erano per me diventate angoli in cui le persone potevano trovare un po’ di carica per vivere. E' stato molto normale, riaccostarmi a Cristo è stato come ritrovare una persona che avevo lasciato perdere, ma che non mi aveva lasciato perdere."

E la scelta del monachesimo?

"Dio non ti chiama in un monastero ma ad un cammino di conversione, il monachesimo è un fatto interiore. Io allora mi chiedevo: che cos'è questa gioia che sento dentro? Pian piano mi sono ritirato dalla vita del mondo, rimanevo chiuso in casa e pregavo, perché volevo conoscere la faccia della pace che provavo. Infine, siccome la vita della città non mi bastava più, mi sono messo alla ricerca di un luogo di silenzio, di solitudine, che mi desse la possibilità di entrare in rapporto continuo con quella realtà interiore che pensavo fosse soltanto mia. Ho scoperto in seguito che apparteniamo tutti a quell'unica realtà, siamo tutti quanti figli di Dio. Ed allora, per tornare al fatto musicale, si sente il bisogno di mettere in circolazione certe voci. Ho scritto una canzone, Nomadi, che è stata cantata da Battiato e da Alice. La più bella soddisfazione che ho avuto è stata quando è venuto a cercarmi un ragazzo che mi ha detto: grazie a questa tua canzone è scattata in me la ricerca di Dio."

Da quanto tempo sei in monastero?

"Otto anni, quasi nove."

Tutti qui a Montefano nel monastero di San Silvestro Abate?

"No, prima ho fatto quattro anni nel monastero di Praglia (Padova), per lo studio della teologia."

Che cosa ti pare, oggi, della vita del "mondo"?

"La percepisco come il soffocamento della realtà interiore. Questo non tanto per il dinamismo, per il frastuono della società, ma per la mancanza di armonia. Una persona che cerca Dio non deve stare necessariamente con le mani giunte dal mattino alla sera, la vita dell'uomo è molto concreta e comporta problemi anche grossi. Bisogna essere uomini, avere i piedi in terra, ma con le antenne rivolte verso la Fonte che dà la forza di andare avanti"

Basta ritirarsi in un monastero per arrivare a questo?

"Assolutamente. Uno può ritirarsi in un monte e vegetare come un albero. Una volta che ti sei ritirato hai a che fare con te stesso, ed è lì che cominciano i problemi. Ci sono momenti di stanchezza, di cedimento: uno può avere slanci di ascetismo per qualche giorno, per un mese, per un anno, ma quando si parla di una vita la questione diventa complessa. Nella regola di San Benedetto, il monastero è visto come palestra spirituale: devi lasciarti perdere se vuoi incontrare gli altri. La vita di ascesi può portarti fino a un certo punto, poi lì ti accorgi che non riesci ad andare oltre, e ci vuole veramente la Grazia di Dio. Uno deve prepararsi a morire, sarebbe bello arrivare in punto di morte e dire: mi abbandono a Te, così come si è abbandonato Cristo. Ma è dura, è molto difficile. Questa però è la cosa che dovremmo fare tutti, monaci e no. E' la Chiesa che conta, il monachesimo è un aspetto della Chiesa."

A che punto sei della tua strada?

"E' un momento molto particolare per me. Sto pensando di fare un altro passo, quello della vita eremitica. E' una dimensione che ho sentito molto fin dagli inizi, volevo entrare in una certosa. Poi sono successe molte cose… c'è in tutto un disegno di Dio, non può essere altrimenti. E' finito che in quella certosa, a Farneta (Lucca), non ci sono entrato. Mi dissero: è difficile, prova prima da qualche altra parte. Ed è stato un bene: la vita di comunità ha lavorato su di me in maniera determinante. Se mi fossi ritirato in un eremo nove anni fa, penso che sarei partito per la tangente. La vita eremitica è durissima, se non si hanno i piedi per terra…Intendo con questo la consapevolezza di certi problemi che solo convivendo con gli altri si può ottenere. Ora, però, mi sembra di avere necessità di recuperare un altro aspetto, quello della solitudine e del silenzio".

La solitudine, il silenzio: e la musica?

"Ho ripreso la musica, la chitarra, facendo qualche canzone per il compleanno, l'onomastico, la professione di fede dei confratelli. L'ho ripresa con più lucidità. Penso che ogni tanto si possa suonare: per pregare. C'è un tipo di preghiera che consiste nell'entrare in contatto con Dio, sentire la Sua presenza. San Paolo dice che quando preghi è lo Spirito Santo che sta pregando dentro di te. Per arrivare a sentire questo, però, bisogna andare al di là di se stessi, oltre il proprio io. La musica ha, secondo me, una forza straordinaria in questo senso: seguendo il suono, arrivando al contatto del suono, diventando tutt'uno con il suono, puoi andare al di là del pensiero ed avere un rapporto molto forte con lo Spirito. Quando San Francesco diceva "Fratello Sole, Sorella Luna" o parlava con gli uccelli, sentiva la relazione che c'è fra tutte le creature. Questa relazione è la presenza di Dio nella creazione. La musica è un mezzo di contatto con la dimensione più profonda della nostra coscienza".

Roberto Juri ha scritto il suo Te Deum secondo i canoni musicali gregoriani, con un testo del VI° secolo. Alla stessa tradizione sacra appartengono i canti (O Redemptor, Cantate Domino, Victimae Paschali Laudes) del secondo lato del disco. E' un ascolto emozionante. L'avreste detto che è tutto inciso con l'elettronica e il computer?

Intervista a cura di Fulvio Scaglione


 


 






venerdì 21 settembre 2012

Babbo Ruini !

Natale si avvicina e comincia la selezione dei regali,dei miei regali.Camillo rientrerà certamente tra i privilegi concessi,l'anno scorso c'era del resto Giacomino Biffi sotto l'albero.C'è chi si tiene i sette nani in giardino e io mi tengo i cardinali,alcuni cardinali,i miei,sotto l'albero.De gustibus...


giovedì 20 settembre 2012

Te Deum

Non è propriamente il mio genere,ma non c'è un mio genere,c'è la bellezza, ed in questo brano di Juri Camisasca c'è tutta la bellezza del sacro come la Tradizione ce l'ha consegnato.

Warrior !

Straordinario film,per uomini e per donne come dico io. Con un finale veramente cattolico. Buona visione!

venerdì 14 settembre 2012

American idiot !

Ma questa è gente che può governare gli U.S.A. ??

















Ormai non mi va nemmeno più di commentare,è tutto talmente assurdo che è difficile trovare una logica se non nell'idiozia di un politicamente corretto idealismo astratto e cieco.
Il 6 novembre si avvicina,la mia speranza è che ci sia una brusca inversione di rotta e che venga riparato il precedente errore,basta gente abbronzata e di dubbie origini.
L'America agli americani sempre che esistano ancora.Che i "guardiani del mondo" tornino a fare i guardiani e non le zie dell'ora del thè.
Se fossero confermati i democratici alla Casa Bianca credo,è brutto dirlo e al fondo non è vero,mi metterò a "tifare" per al quaeda e compagnia bella (si fa per dire) che quanto meno hanno una loro "serietà" per niente astratta.
America stand up!

mercoledì 12 settembre 2012

Al di là del Gius e del campari...

Devo correggermi non era campari nel titolo ma martini,non mi è chiarissimo a quale dei due nomi vada la maiuscola, per non far torto a nessuno tengo per entrambi la minuscola.Pubblico di seguito un interessante contributo di Antonio Socci riguardo le due figure di ecclesiastici milanesi :uno è stato uno dei più grandi figli del cattolicesimo ambrosiano, l'altro un importante membro della cristianità post conciliare.Al di là dei soggetti quanto scrive Socci riportando brani di don Giussani è molto importante per capire molta deriva "cattolica" odierna.


DON GIUSSANI E IL CARDINAL MARTINI.  IL MONDO E LA CHIESA

Posted: 10 Sep 2012 01:50 PM PDT

Sul quotidiano della Cei “Avvenire” del 1° settembre, Marina Corradi – intervistando il cardinal Ruini – ha notato che su temi come fecondazione artificiale o unioni omosessuali, “Martini sembrava più aperto alle ragioni di certa cultura laica” e “ha espresso pubblicamente posizioni chiaramente lontane da quelle della Cei”.
Il Cardinal Ruini ha risposto: “Non lo nego, come non nascondo che resto intimamente convinto della fondatezza delle posizioni della Cei, che sono anche quelle del magistero pontificio e hanno una profonda radice antropologica”.
Una parola chiara da considerare bene, anche perché pronunciata dal cardinale che per decenni è stato – per Giovanni Paolo II e Benedetto XVI – il Vicario del Papa a Roma e la guida dei vescovi italiani (tuttora, pur in pensione, è uno dei più importanti collaboratori del Papa).

Nel frattempo dentro CL è nato un interessante dibattito che prende spunto dalla lettera di don Carron al Corriere su Martini.
Alcuni miei amici “romani” (Massimo Borghesi e Alessandro Banfi, ma anche il milanese Gianni Mereghetti) mi pare si spingano sul “Sussidiario” fino a ideologizzare su un semplice gesto di carità, di realismo e di amore alla Chiesa, quasi che don Carron avesse ribaltato i giudizi espressi nella sua lettera riservata al Papa, che abusivamente è stata resa pubblica da Vatileaks.
Ma non è così. A me pare che i contenuti di quella lettera di Carron, che raccoglie poi il giudizio storico di don Giussani, restino del tutto validi e non siano affatto contraddetti dalla lettera al Corriere.
Inoltre il mio amico Borghesi (che è sempre interessante leggere)  rischia involontariamente di far pensare che don Giussani, Martini e Benedetto XVI  avessero la stessa posizione e lo stesso giudizio sulla situazione della Chiesa e sull’affronto della modernità.
Sinceramente c’è una letteratura amplissima che dimostra il contrario e più ancora delle cose scritte, c’è la storia. A cominciare dalle scelte pubbliche di Martini relativamente all’impostazione e alle decisioni di Benedetto XVI… .
Vorrei dunque dare un piccolo contributo riportando qualche pagina di don Giussani, a cominciare da quella dove (significativamente!) colloca Martini nell’orizzonte teologico rahneriano, molto avversato dalla migliore teologia cattolica e certamente estraneo alla tradizione ambrosiana all’interno della quale nasce Comunione e liberazione.

 DON GIUSSANI E IL CARDINAL MARTINI

DA LUIGI GIUSSANI, “INTERVISTA SU COMUNIONE E LIBERAZIONE” (A CURA DI ROBI RONZA) 

“Con l’attuale presule, il cardinale arcivescovo Carlo Maria Martini, le cose sono inevitabilmente cambiate per delle ragioni oggettive (il cardinale Martini ha percorso un itinerario spirituale e intellettuale suo), che comunque non intaccano quella precisa volontà di costante riferimento all’autorità episcopale del luogo che, come già ebbi occasione di affermare, è uno degli elementi caratteristici dell’esperienza di CL.
Con il cardinale Martini, infatti, il governo culturale e dottrinale della diocesi di Milano ha cominciato a muoversi nell’ambito di una scuola di pensiero teologico direi rahneriana.
Stando così le cose, noi non possiamo che restare fedeli alla nostra identità ed alla tradizione cui sempre ci siamo riferiti con viva attenzione al nuovo, nella certezza che lo Spirito Santo saprà rendere fertile per la Chiesa la coesistenza a Milano e nella sua diocesi di due posizioni pur tra loro originalmente eterogenee.
Un elemento di rilievo del nuovo pensiero teologico è anche un’accentuazione del ruolo della Chiesa locale che, mentre sottolinea giustamente l’importanza di un nesso organico tra tutte le esperienze ecclesiali nella vita della diocesi in unità col Vescovo, sembra esigere da esse una generale uniformità, intesa come condizione facilitante della loro convivenza e collaborazione; sembra esigere insomma un’omologazione che, tanto più nel nostro caso, è difficile da concepire”.


Nota mia:
Questo tentativo di omologazione e di emarginazione dell’esperienza di CL c’è stata, come riconosce sinceramente lo stesso cardinale Martini nella lettera pastorale del 2001/2002: «Chiedo perdono ai gruppi, alle associazioni e ai movimenti che si fossero sentiti poco valorizzati o sostenuti da me. Ho sempre goduto di fronte a testimonianze autentiche di vangelo vissuto, dovunque si trovassero, ma ho avuto anche difficoltà nel comprendere alcune logiche che mi sembravano particolaristiche e autoreferenziali. Ho sognato che parrocchie e movimenti potessero unire le energie, riconoscendo ciascuno i propri doni e uscendo dai particolarismi, ma il cammino appare ancora lungo. Come Vescovo ho sentito una istintiva preferenza per la centralità della pastorale diocesana e parrocchiale. L’onestà dell’intenzione non basta certo a soddisfare chi ritenesse di essere stato poco curato o amato: per questo chiedo perdono, e affido alla misericordia di Dio la maturazione dei semi di bene lanciati nel dialogo che mi pare di avere sempre cercato».


2.   DON GIUSSANI, LA MODERNITA’ E IL MODERNISMNO


DA DON LUIGI GIUSSANI: “L’IO, IL POTERE E LE OPERE” pagg. 205-207

“Il mio parere – dice don Giussani – è che certa teologia
cattolica ha assunto accenti protestanti.
Da dove nasce questo spirito protestante? Dalla riduzione del cristianesimo a parola.
Ora, anche il Vangelo di Giovanni dice: «In principio
era la Parola», ma per dire che la Parola si è fatta carne.
E, in effetti, il cristianesimo sorge con un uomo, con un fatto.
C’è una bella frase di Dostoevskij: «Il fatto più drammatico
è che Dio, il Mistero che fa tutte le cose, sia
coinciso con un uomo».
È diventato uomo – urla quasi don Giussani —, e da quel momento quel punto fisico si è dilatato nella storia. E la fisionomia di questo sviluppo si chiama Chiesa.
Se il cristianesimo fosse solo Parola di fronte al problema «Qual è l’ultima cattedra per interpretare questa parola?» non si potrebbe che rispondere come ha risposto l’epoca moderna: la coscienza individuale. Questo è il protestantesimo.
Ma se il cristianesimo è un fatto, l’ultima cattedra è un fatto umano: la Chiesa con la sua Autorità. Con ultimo garante il Papa. E se è così, tutti gli aspetti umani sono investiti, si intrecciano tra loro.
Il cattolicesimo non si vive «da soli». Lo dico sempre ai ragazzi: io non posso barare con voi, ma neppure voi con me”.


DA DON LUIGI GIUSSANI, IL SENSO DI DIO E L’UOMO MODERNO, P. 119
(CAPITOLO PRIMO LA PROTESTANTIZZAZIONE DEL CRISTIANESIMO)
Di fronte alla situazione di ateismo esistenziale e pratico che abbiamo descritto, ma anche di fronte all’urgenza di un nesso col destino, cioè di una religiosità autentica, che abbiamo rilevato, sarebbe assolutamente necessario che il significato della vita ridiventasse amico della vita.
Il cristianesimo è entrato nel mondo per contestare quella rovina dell’uomo che si perpetra laddove l’uomo perde il nesso con Dio. Esso è l’annuncio del Dio fatto uomo e dovrebbe costituire l’opposizione più determinante all’ostracizzazione odierna del rapporto con l’infinito dalle vicende della vita.
Ricordiamo che Cristo disse prima di morire, pregando il Padre: «Non ti prego per il mondo». E intendeva con quest’espressione riferirsi non certo alla creazione che ci offre le stelle, il mare, la tenerezza e l’amore, ma alla realtà, che tristemente può comprendere anche le stelle, il mare, la tenerezza e l’amore, affrontata senza il rapporto ultimo col divino.
Questo è il mondo per cui Cristo non prega: la realtà affrontata a prescindere da Dio; di fatto, una realtà così manipolata tenderebbe a distruggere quell’uomo che Cristo è venuto a salvare. Ma oggi il fatto cristiano si presenta nel mondo profondamente ridotto.
Non è quella presenza in lotta contro la rovina dell’uomo, così come dovrebbe essere. Non lo è se non potenzialmente. Parlando di questa riduzione voglio specificare che non parlo dell’incoerenza etica.
Da quando il Signore è venuto, infatti, la Chiesa ha reso avveduto l’uomo della verità fondamentale che egli è peccatore, e che Cristo è venuto appunto per i peccatori.
Non parlo di quella fragilità terribile cui accennava anche il brano teatrale di Ibsen citato prima, per cui l’uomo non riesce da solo a stare in piedi, ad essere se stesso. Non parlo di questo: Cristo è venuto proprio perché noi potessimo, appoggiandoci a Lui, camminare, lentamente, ma camminare.
Parlo invece di una riduzione del cristianesimo nel modo di vivere la sua natura. Il mio parere è che il cristianesimo del nostro tempo è stato come angustiato, debilitalo e affievolito da un influsso che potremmo definire «protestante».
Non è questa la sede per soffermarci a descrivere la profondità religiosa da cui il protestantesimo nasce o cui può giungere; ciò che sto per dire è una critica non certo al mondo protestante, ma alla realtà cattolica, starei per dire all’intelligenza cattolica, che oggi si presenta gravemente protestantizzata.
L’osservazione capitale che motiva tale giudizio sta nella riduzione del cristianesimo a «Parola» («Parola di Dio», «Evangelo», o semplicemente «Parola»). Ciò lascia spazio a conseguenze decisive per una cultura.
1)  Il soggettivismo Quella riduzione apre, dal punto di vista metodologico, ad un soggettivismo inevitabile che, da un punto di vista pratico, favorisce una sentimentalità e un pietismo. In questo modo la parola di Dio avrebbe come ultimo criterio interpretativo la coscienza personale: drammatica relativizzazione in cui ogni uomo è sorgente di dettato, ultima cattedra e profeta di se stesso, alla mercé della sua sensibilità, del suo risentimento, dell’istante che vive.
Tot capita, tot sententiae: tante teste, tanti pareri. Potrebbe anche essere uno slogan della libertà razionalista. Se si vuole un correttivo a quell’esasperato soggettivismo ci si affida agli ermeneuti della parola, agli esegeti. Ma non bastano gli intellettuali alla obbiettività necessaria.
Così come, per salvare l’oggettività, non è sufficiente la comunità di base con il suo parere, e neanche quello della Chiesa locale: Cristo non ha commesso a nessuna di queste entità come tali l’inequivocabile ulti-ma oggettività della Sua guida.
2)   Il moralismo Se il cristianesimo è parola di Dio interpretata dalla coscienza sorge un’ulteriore grave domanda. Il cristianesimo reso «parola» interpretabile dalla coscienza nel senso detto, quale comportamento suggerirà di fronte all’urto dei problemi umani personali o all’urgenza della realtà sociale?
Come può quel soggettivismo estremo confrontarsi con la congerie di reclami formulati dalle sempre più complesse vicende della vita moderna?
La risposta è purtroppo una: il comportamento dell’uomo necessariamente verrà guidato e identificato come valore dagli ideali che la cultura dominante approverà.
La moralità è allora qualcosa che deriva dalle leggi e dalla coerenza con una concezione della vita avallata dal potere e quindi riconosciuta dai più.
Se il cristianesimo è ridotto a parola coincide con un’emozione della coscienza che ha il diritto di interpretarla e tale coscienza non può disarticolarsi dal flusso di quei valori che sono più stimati nel momento storico in cui essa vive. Ecco allora che il comportamento più corretto e più dignitoso per l’uomo sarà immaginato secondo idee e convinzioni ritenute più urgenti dalla mentalità sociale al potere. Questa è la seconda mutilazione che offre al nostro tempo la realtà del cattolicesimo secondo una diffusa interpretazione.
Un orizzonte morale reso angusto, per cui i parametri cui riferirsi sono quelli della concezione di vita dominante nella società in cui si è. Una riduzione della moralità a moralismo.
Il moralismo è sempre riduttivo dell’orizzonte morale ed è sempre accusativo dell’uomo: o meglio, lo accusa da una parte e lo giustifica dall’altra.
Si esaltano dei valori e se ne censurano altri, per alcuni si pretende la piena coerenza, di altri si accetta e talvolta si plaude l’assenza. Perciò se da una parte la Parola di Dio soggettiva-mente interpretata può anche aprire spazi sentimentalmente vivi, o anche risorse di sacrifici particolari, la morale per gli uomini che vivono in una società è fissata dal potere reale.
Allora la posizione dell’uomo, anche credente, di fronte al cristianesimo è impossibile che non ceda alla sua identificazione con i valori morali che la società sembra rendere ovvi.
Ed è così che la moralità diviene moralismo accanito: o il comportamento fluisce dal dinamismo intrinseco ad un avvenimento cui uno appartiene, oppure è una selezione arbitraria e pretenziosa di affermazioni fra cui do-minano le scelte più pubblicizzate dal potere, e ad esse si è tenuti con scrupolo ad uniformarsi.
3)  Indebolimento dell’unità organica del fatto cristiano Diretta conseguenza della riduzione del cristianesimo a parola è anche lo sfuocarsi del nesso tra presente e passato, vale a dire lo sfuocarsi della unità organica, strutturale, propria di un fatto come quello cristiano.
Si indebolisce il valore della storia, della tradizione e quindi di quella organicità dell’avvenimento cristiano che rende viva la vita della Chiesa.
È come se un uomo adulto vivesse solo del presente, delle reazioni istintive o momentanee e obliterasse, per una strana malattia, o per una reazione negativa, il suo passato.
Tale illanguidimento dello spessore storico e vitale del fatto cristiano arriva sino al tentativo di svuotare il più possibile di contenuto il nesso con il fattore garante di quella organicità unitaria di cui parlavamo pocanzi, cioè con il Vescovo di Roma.
In un certo allentarsi della sequela al Pontefice noto un altro riverbero di protestantesimo, che potremmo chiamare «congregazionalismo » — con un’espressione tratta dalla storia protestante — o «episcopalismo»: la Chiesa locale cioè avrebbe capacità sufficienti e autonome di fondare il rapporto dell’uomo con il Cristo, con il divino.
Il primato reale del Vescovo di Roma è rarefatto e con esso anche l’unico ancoraggio adeguato del rapporto con Dio, che è il mistero della Chiesa nella sua totalità.
Già presentì questo pericolo Paolo VI, quando ancora era cardinale a Milano, e così si espresse in una lettera indirizzata al cardinal Cicognani prima dell’apertura del Concilio: «Questo Concilio dovrebbe, sempre al suo inizio, esprimere un atto unanime e felice di omaggio, fedeltà, amore ed obbedienza al Vicario di Cristo. Dopo la definizione del primato e dell’infallibilità del Papa, ci furono alcune defezioni, alcune incertezze e poi docili acquiescenze. Ora la Chiesa gode di riconoscere in Pietro e nel suo successore quella pienezza di poteri che sono il segreto della sua unità, della sua forza, della sua misteriosa capacità di sfidare il tempo e fare degli uomini una Chiesa. Perché il Concilio non lo deve dire? Perché il Concilio non esprime questa acquisita certezza? Perché, dovendo poi discutere i poteri episcopali, non allontana da sé ogni tentazione e dagli altri ogni dubbio che si possa momentaneamente rimettere in questione la sovrana grandezza e solidità di quella verità? Anche su questo punto basterebbe un atto semplice e breve, ma solenne e cordiale».
Occorre fare una nota. Una Chiesa «locale» non può stare di fronte ad un a cultura dominante: può solo subirla. Una cultura può diventare dominante solo per valori che si pongano con forza o con pretesa di universalità.
Una Chiesa locale, proprio in quanto delimitata, non può che essere presa nel gioco: i suoi valori universali sono quelli che essa attinge dalla «catholica», come si espresse Giovanni Paolo II nel discorso alla Chiesa italiana riunita con i vescovi e i suoi rappresentanti a Loreto (1985).
Ecco allora tre «cadute» che tendono a ridurre dall’interno il fatto cristiano, e in particolare il cattolicesimo, che lo smantellano dal di dentro, ne indeboliscono la lotta contro un a mentalità per cui «Dio non c’entra con la vita».
Sono, lo abbiamo visto, il soggettivismo di fronte al destino, come concezione e come prassi; un moralismo accentuato di fronte ai valori esaltati dalla cultura dominante; l’indebolimento dell’unità viva del popolo di Dio con la sua tradizione e attorno al capo garante che è il Vescovo di Roma .
Si presenta così oggi svigorita l’organicità potente della Chiesa, quell’unità in cui sta il segno della presenza salvifica di Cristo. Diceva un teologo belga, Chantraine, scrivendo su un periodico: «Si è svuotata l’ontologia cristiana e sono rimaste le parole».

venerdì 7 settembre 2012

Protagonista,sempre !



Sarò polemico ma padre Marcelo ospite in questo concerto,vestito da prete,non da pagliaccio,canta col suo amico Belo due canzoni cristiane,dichiaratamente cristiane,parla esplicitamente e benedice.Da noi non avendo mai visto niente di simile,tutt'al più posso immaginare il pretino senz'abito (non sia mai..) ma con sciarpa o bandiera della pace (più laica e moderna della croce) che canta "Io vagabondo" o "Gesù bambino" di Dalla.
Noite traiçoeiras l'avevo già pubblicata,questa è la seconda canzone,siamo proprio su di un altro livello,altro mondo...

Hoje livre sou

Presenza forte in me, posso dire: habita qui
Perché sono stato schiavo e oggi ai tuoi piedi sono più libero


La mia anima ha incontrato il significato della mia vita
La tua mano potente venne e mi rialzò
Ora io posso dichiarare
Io oggi sono libero!


Ho sete della tua grazia, ogni giorno di più
Sono più forte e vado più lontano da quando ci sei
Con parole d'amore ti adoro, Signore
Oggi sono libero


Mio tesoro, mio patrimonio, mio bene supremo
Nè tribolazione, né dolore ci separeranno
E mai si romperà quello che l'amore ha sigillato
Oggi sono libero

Testo liberamente ma non troppo tradotto

lunedì 3 settembre 2012

Mi era e mi è indifferente ma...

...sembra che avesse ed abbia una qualche importanza,mi limito,basta e avanza,a riportare un post di un blog che spesso ci prende: http://blog.messainlatino.it/ e con cui, anche stavolta, sono allineato e coperto.


Funerali del Card. Martini. 'Eminente' ecclesiastico, ma...
Tra poco, alle 16:00, nel Duomo di Milano il Card. Scola celebrerà i riti delle esequie in suffragio per l'anima del Card. Martini. adstante multo clero et ingenti populi moltitudine. Come è giusto che sia.
Questa mattina però un nostro lettore ci ha inviato una mail con autorizzazione alla pubblicazione.
Noi la pubblichiamo proprio oggi in cui la Chiesa affida l'anima del fratello Carlo Maria al Giudizio e alla Misericordia di Dio, per ricordare -anche- che il Card. Martini, pur infaticabile Vescovo, grande sacerdote di preghiera dotato di eccezionale zelo pastorale, ecclesiastico di elevata statura intellettuale, studioso di altissimo profilo (attento anche al latino nella liturgia e alla preservfazione del canto ambrosiano), non poche volte però ha espresso opinioni gravemente contrarie al Magistero.
Ma non si può assolutamente dire che sia stato né ateo né Massone (né simpatizzante!), come letto qua e là.. e purtroppo anche in alcuni commenti sul nostro blog (che non hanno avuto l'approvazione per la pubblicazione).
Durante la visita di Benedetto XVI a Milano, il Card. Martini, pur provato gravemente dalla malattia e sofferente nel corpo, ha voluto incontrare il Papa e salutarlo, forse in un ultimo atto di omaggio e filiale riverenza.
Si potrebbe quindi pensare che, paradosso!, il Card. Martini fosse in buona fede, pur nelle sue esternazioni un po' troppo "progressiste" (come bene ipotizza M. Introvigne)?


Requiem aeternam dona ei Domine et lux perpetua luceat ei. Requiescat in pace. Amen.


Roberto

E' vero che de mortuis nisi bonum, ma visti i molti equivoci che si sono letti in questi giorni sui giornali e nelle televisioni nazionali, vi allego alcuni commenti "critici" sul Nostro che - non senza ricordare il suo grande livello intellettuale - mettono in luce i gravi limiti teologici e magisteriali del suo pensiero.
Io stesso ho letto il libro delle "conversazioni a Gerusalemme (
http://www.ibs.it/code/9788804598657/martini-carlo-m/conversazioni-notturne-gerusalemme.html), quello fatto a quattro mani con don Verzè (http://www.ibs.it/code/9788886270908/martini-carlo-m/siamo-tutti-nella.html), quello con Ignazio Marino (http://www.ibs.it/code/9788806212841/martini-carlo-m/credere-conoscere.html) e l'ultima intervista apparsa sul CdS l'altro ieri (http://www.corriere.it/cronache/12_settembre_02/le-parole-ultima-intervista_cdb2993e-f50b-11e1-9f30-3ee01883d8dd.shtml): in tutti ci sono - a mio parete - gravi affermazioni contro il Magistero.

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Di seguito vi indico alcuni articoli sul Card. Martini:

di..., Il gesuita, il Foglio, 31 agosto 2012;

di M. INTROVIGNE,
Martini come l'ho conosciuto io, da ilQuintuplo, 1° settembre 2012;

di A. SOCCI,
Io non sono martiniano, sono cattolico. Cosa possiamo fare per l'anima di Carlo Maria Martini, dal suo blog Lo Straniero del 1° settembre 2012;

di C. LANGONE, Martini il Card. preferito da atei e nemici della Chiesa, Libero 1° settembre 2012;

di A. RIGHI: Un requiem per Martini? da Libertà e person, 1° settembre 2012;

di P. RODARI,
In memoria del Card. Martini, il grande ante-papa, il Foglio 02 settembre 2012- blog di Rodari;

di S. MAGISTER, Martini, il "Grande Elettore" immaginario, dal suo blog SettimoCielo, 3 settembre 2012;

di M. Crippa, Controversie su Martini, Il Foglio 1° settembre 2012;

di..., Una verità su Martini nel giorno dell’addio al possente gesuita, il Foglio ,2 settembre 2012;
di A. MORRESI, La morte del Card. Martini, dal suo blog LoStranoCristiano, 2 settembre 2012

Jesus Culture:Happy days - Jesus is alive!

Volume al massimo,quasi al massimo e saltare!

domenica 2 settembre 2012

Medjugorje,messaggio del 02/09/2012

"Cari figli, mentre i miei occhi vi guardano, la mia anima cerca anime con le quali vuole essere una cosa sola, anime che abbiano compreso l'importanza della preghiera per quei miei figli che non hanno conosciuto l'amore del Padre Celeste. Vi chiamo perche' ho bisogno di voi! Accettate la mia Missione e non temete: vi rendero' forti. Vi riempiro' delle mie grazie. Col mio amore vi proteggero' dallo spirito del male. Saro' con voi!. Con la mia presenza vi consolero' nei momenti difficili! Vi ringrazio per i cuori aperti. Pregate per i sacerdoti. Pregate perche' l'unione fra mio Figlio e loro sia piu' forte possibile, affinche' siano una cosa sola. Vi ringrazio!"

Come si può non amare l'Amore?!



E' Gesù che parla all'uomo,no non è vero parla ad ognuno,al suo cuore,la traduzione non ce l'ho ma è abbastanza intuitivo il testo e padre Marcelo ha come sempre il dono di sciogliere ed innalzare anche i cuori più aridi.Buon ascolto e gioitene non è possibile fare diversamente.